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Aliquid Oblitus

La Dottoressa Quiner riceveva nel proprio appartamento, che assomigliava in realtà più ad un unico corridoio interrotto da porte. 

L'ingresso dava direttamente sulla prima stanza, la più grande, dove in quel momento erano disposte a cerchio sei sedie. Cinque erano occupate, una vuota. 

Questa fu occupata dal ragazzo in piedi dietro essa, su invito della donna che gli aveva aperto la porta. 

<<Innanzitutto...>> disse lei <<Buongiorno, io sono la Dottoressa Clara Quiner, e tu sei...>>

<<Jacob... Aiagon.>> rispose. 

<<Jacob Aiagon.>>

13 novembre 2020

Terapia di gruppo, hm. 

Jacob avrebbe preferito di gran lunga qualcosa di singolo, individuale, ma la terapeuta non aveva nemmeno un'ora libera... e sosteneva che comunque, in gruppo sarebbe stato meglio. 

Era comprensibile. Del resto, se era lì per lo stesso motivo loro, era giusto fosse anche con loro. 

...non che lui avesse nulla in comune con quella gente. 

Gente che era stata in un culto, per mesi, anni, o perfino per tutta la vita. Il ragazzo non immaginava potesse causare alcun tipo di trauma che necessitasse terapia. 

D'altra parte, aveva difficoltà a simpatizzare con alcune di quelle persone. 

Sapeva benissimo che in quel periodo, la città stava vivendo il cosiddetto "Rinascimento Religioso", nel quale sette e filosofie bizzarre spuntavano come funghi. Era qualcosa di facile da ignorare, ma anche di mai visto prima e ancora inspiegabile. 

Perciò, la maggior parte degli psicologi aveva continuato con il proprio lavoro normalmente. La Dottoressa Quiner, invece, aveva deciso di organizzare un gruppo specializzato per i sopravvissuti ai peggiori culti. 

Non era la migliore terapeuta in città, probabilmente, era solo la prima ad aver avuto l'idea. 

Quindi... era possibile che chiunque venisse alla sua porta. 

Compresa gente che usciva da culti controllati da Diavoli Accusatori. 

Per questo Jacob non riusciva a fidarsi dei presenti, perché sapeva che sarebbero potuti essere stati terroristi pieni di sangue sulle mani, e la sola possibilità lo metteva a disagio. 

Almeno non ne riconosceva nessuno, in quel cerchio, né loro sembravano aver riconosciuto lui. Aveva temuto di incontrare qualcuno con cui aveva combattuto, e sarebbe stato piuttosto imbarazzante. 

<<Allora, Jacob...>> disse la Dottoressa Quiner <<Vuoi parlarci un po' di te, o vuoi far parlare prima noi?>>

<<Prima voi, se... non vi dispiace.>>

Nessuna delle persone sedute nel cerchio obiettò.

<<Va bene, allora, chi vuole presentarsi? Non sentitevi obbligati.>>

<<...vado io.>> disse uno dei presenti, sospirando. 

Era un uomo calvo, anche se sembrava sulla trentina d'anni. Forse si era rasato i capelli. 

<<Io sono Ivo.>> si presentò, facendo un gesto di saluto a Jacob <<E come sono sicuro tu possa immaginare, ero in un culto. Mi sono unito al Tempio di San Giuseppe Padre perché sembrava una normale chiesa, dedicata alla Sacra Famiglia, sai, quella di Gesù. Ci era stato detto che... noi saremmo stati i prossimi. Che dovevamo procreare, perché il prossimo Messia nascesse da uno di noi.>>

Chiaro. Se questa era opera di un Demone, non era uno che Jacob aveva mai incontrato. 

Ivo continuò: <<Ma prima... dovevamo essere puri da ogni peccato, per nove mesi. Quindi rimanevamo là, senza incontrare nessun altro. Flaggellandoci quando... lasciavamo la strada giusta. E poi... il sacerdote sceglieva una donna per noi, e... be', se non andava bene ne sceglieva un'altra... e magari un'altra... e... continuavano a venire da chissà dove... no, sapevamo benissimo da dove...>>

La Dottoressa lo interruppe. <<Ivo. Abbiamo già detto che tu non avresti potuto fare niente.>>

<<Ero lì! Sotto lo stesso tetto! E loro- e->>

<<Basta così, Ivo.>> disse la donna seduta accanto a lui. Gli mise una mano sulla spalla e lui si calmò. <<Posso andare io?>>

Ah, quindi si aiutavano pure a vicenda. Questo doveva essere uno dei benefici di un gruppo. 

Quando l'uomo annuì, la donna si mise in piedi timidamente, come se cercasse di farsi confidenza. 

Aveva il volto pieno di trucco, e i capelli tinti, ma ordinati male. 

<<Io sono Siobhán.>> disse, e subito con il suo nome venne anche un forte accento. <<È, uh... femminile di Sean. Forse ti sarà più facile dire Joanna, in caso. Comunque... noi eravamo detti i Divinitas Mentis, e a tutti noi hanno insegnato la stessa cosa: che i nostri corpi umani erano solo... debolezze di carne.>>

Più parlava, più il suo atteggiamento si faceva schivo. I suoi occhi si spostavano da una sedia all'altra, ansiosi. 

<<Si pubblicizzavano come un corso per migliorare la propria percezione del proprio corpo... invece volevano insegnarmi ad odiarlo ancora di più, così che fossi pronta ad abbandonarlo insieme a tutti loro. Dopo qualche mese, mi avevano quasi convinta, ma...>> Abbozzò un falso sorriso <<Come vedi, io... non ho... timore.>>

Uno... sforzo ammirabile. Jacob avrebbe chiesto da quanto tempo aveva lasciato quel culto, ma sarebbe stato inappropriato... ed inutile, perché se ciò che diceva era vero, quella confidenza era già incredibile. 

E Ivo, allo stesso modo, era in condizioni migliori di quanto il ragazzo si sarebbe aspettato. Forse i problemi erano invisibili a lui, forse c'erano ancora alcune cicatrici sulla sua schiena. Eppure sembrava... "funzionasse" come persona alla perfezione. 

Sedutasi Siobhán, parlò la terza persona. 

Un uomo ben vestito, sicuramente il più vecchio tra tutti loro. 

<<...Francis.>> si presentò <<Io sono Francis e sono nato in un culto. Blue Home, una comunità... so solo che ospitava chi voleva lasciare il mondo comune. I miei genitori non immaginavano che... dare nascita ad un figlio fosse contro i dogmi del gruppo. Fummo ostracizzati quando avevo solo pochi mesi, ma senza nessuno a offrire loro questo servizio->>

Per spiegarsi meglio fece un gesto rivolto all'intera stanza. 

<<-questa terapia, non furono mai capaci di liberarsi davvero. Andarono solo ad unirsi ad un'altra setta, e quando le contraddizioni tra i loro insegnamenti e quelli che conoscevano divennero troppo grandi, si spostarono ad un'altra, che ovviamente aveva lo stesso problema. Passai i miei primi quindici anni in quei posti, uno peggiore dell'altro... e quanto male mi abbia fatto non l'ho saputo finché non ho deciso di venire qui.>>

...un'altra cosa che Jacob non immaginava era che qualcuno potesse nascere in un culto. O almeno, non ci aveva mai pensato. 

Francis era innocente come gli altri due. Si era davvero preoccupato per nulla? No, meglio non parlare prima di aver sentito l'ultimo. 

Il quarto "compagno di terapia" era un ragazzo biondo, circa della sua età. 

<<Io sono Jordan.>> disse, imbarazzato <<E il culto da cui vengo... uh, non aveva un nome, credo. Ma credevamo in una persona chiamata lo Iudex.>>

Il cuore di Jacob sembrò fermarsi un secondo, per poi ripartire a velocità doppia. 

"Un membro del culto di Inlus."

Sapeva cosa significava. Aveva accanto a sé quello che era essenzialmente un neonazista, che aveva forse festeggiato nell'edificio dove lui era prigioniero, che si era scontrato con Simona e Risa. 

<<Hey, non- non mi guardare così, ok?>> chiese Jordan, distogliendo lo sguardo. 

Il Giudice non si era nemmeno accorto di quale espressione doveva avere in volto. <<Ah, no- continua.>>

Lui lo fece, ma fissando i propri piedi. <<Lo so che... era tutta una cazzata per idioti pieni di rabbia... ma io ero un idiota pieno di rabbia... rabbia contro il mondo... rabbia contro me stesso... e l'idea che ci fosse un modo per sistemare tutto, e diventare un eroe... non potevo lasciarla scappare.>>

Passò qualche secondo, poi Jordan chiese: <<Devo... dov'è il bagno?>>

<<In fondo a sinistra.>> rispose la Dottoressa. 

Il ragazzo andò per il lungo corridoio. 

Una volta che ebbe raggiunto il bagno e chiuso la porta, la Quiner si rivolse a Jacob: <<Jacob, conoscevi il culto dello Iudex?>>

<<Come no. Lo conoscevo molto bene.>>

<<...capisco. Jordan ci ha spiegato con riluttanza che tipo di gruppo fosse e che cosa gli abbia fatto fare. Ma... tutti noi, qui, sappiamo bene come un culto recluta le proprie vittime. Perché vittime è quello che i membri sono, e lui non è eccezione.>>

<<-ha detto di sapere che tipo di gruppo fosse.>> disse lui freddamente. 

<<Non devi diventare suo amico, Jacob. Devi solo accertare che merita, che ha bisogno di supporto quanto ne hai tu.>>

Forse sì. 

Ma lui era stato complice del motivo per cui Jacob aveva bisogno di quel supporto. 

Una donna con manie di grandezza ed un Demone con il potere di milioni. 

<<Perché? Perché se lo merita, dopo quello che ha fatto?>>

<<I culti ci spingono oltre il limite, ci privano della nostra autonomia.>>

<<Ma ha scelto di unirsi a loro!>>

<<E tu no?>>

<<Io->>

-il ragazzo non sapeva come rispondere. 

In realtà, sì, aveva fatto personalmente quella scelta. 

Sicuro, Arsalan era apparso prima, Dio l'aveva scelto, ma lui aveva accettato. Si era fatto convincere. Non una, ma due volte. 

Ed era finita con l'uccisione di una bambina, e il tentato omicidio di Lucia Celesti. 

Poteva... davvero... criticare...? 

<<...okay. Okay. Scusatemi... ho esagerato.>>

L'aria rimase tesa intorno a tutti, e quando Jordan tornò dal bagno continuò a non incontrare lo sguardo di nessuno, ma la Quiner sembrava contenta. 

La Dottoressa aveva lunghi capelli rossi, più scuri di quelli di Arsalan, raccolti in una treccia. Mentre parlava, quella era l'unica caratteristica su cui Jacob riusciva a concentrarsi, e riprese a processare ciò che diceva solo verso la fine del discorso. 

<<...li potrai conoscere meglio se sceglierai di unirti a noi. Nulla di privato lascerà questa stanza, e faremo del tuo meglio per supportare il tuo percorso.>>

Ma si distrasse di nuovo, per via di un rumore. 

Con la coda dell'occhio guardò nella direzione del lungo corridoio alla sua destra. 

Una delle porte si era leggermente aperta. 

In quella nicchia, intravise un volto. 

Il volto di un uomo con la barba incolta e gli occhi stanchi. 

-la porta si chiuse subito. Il Giudice tornò a concentrarsi. 

<<Se non vuoi affrettare la decisione, puoi->> stava dicendo la Quiner. 

Lui la interruppe bruscamente. <<Va bene. Non ho bisogno di altro tempo. Quello di cui ho bisogno, è... aiuto. E se voi potete darmelo... sarò con voi, suppongo.>>

Come se l'imbarazzo non fosse già abbastanza alto, tutti e cinque nel cerchio applaudirono. 

<<Non te ne pentirai.>> disse la Dottoressa <<Allora, Jacob... visto che abbiamo ancora mezz'ora, oggi, che ne dici di spiegarci la tua storia?>>

<<-huh?>>

La... sua storia? 

Su come fosse un Giudice del Signore? Quella storia? 

No, quello era un segreto che nessuno poteva conoscere. Né Arsalan, né Risa, né Simona avrebbero approvato del rivelarlo. 

<<Tutti gli altri hanno parlato dei propri culti. Non devi fare nulla che non vuoi, ma...>> Fece un gesto circolare rivolto a lui <<È solo giusto se lo fai anche tu.>>

<<Ah, i-io...>>

Solo quella menzione gli faceva ricordare ciò che avevano detto. Ciò che Ivo, Siobhán e Francis avevano sofferto, il modo in cui ne parlavano... e le accuse che aveva rivolto a Jordan. 

La scena continuava a ripetersi nella sua mente. Quel ragazzo si era aperto a loro pur sapendo che tipo di reputazione avrebbe guadagnato facendolo... e lui lo aveva attaccato, rendendo nulli i suoi sforzi. 

<<Sono io l'esperta, dopotutto, e fidati quando ti dico che lo chiedo per il tuo bene.>>

Per il suo bene...

La donna continuava a gesticolare nella sua direzione quando parlava. Lei non era come Arsalan. Quella era una persona umana... di quelle che doveva incontrare più spesso. 

Di questo, Simona avrebbe approvato, e forse anche Risa. 

Quanto all'approvazione di Arsalan...

...be', era proprio quello il punto. 

<<...mi fido.>> disse Jacob. 

Prese diversi respiri, più di quanti si aspettasse. 

E poi parlò. 

<<Si faceva chiamare Arsalene, e diceva di essere un Angelo... un Angelo Custode. Mi ha dato una Spada che diceva appartenere a Re Salomone, e mi ha detto di aver bisogno del mio aiuto per uccidere Demoni. Perché i Demoni si fondono con gli umani, e gli Angeli non possono uccidere gli umani... solo io potevo. Così andai a farlo, a combattere con chiunque lui dichiarasse mio nemico. Per mesi mi scontrai con quella gente e rischiai di morire... finché non ce la feci più. Due persone si offrirono di prendere il mio posto, ed io... accettai. L'unico motivo per cui ora sono qui, è che lui non ha più bisogno di me. Ma se un giorno dovesse volerlo... mi riporterà a sé. Perché... non posso sfuggirgli.>>

...silenzio. 

Inizialmente, Jacob fu sollevato che nessuno reagisse. 

Poi passò ad essere ansioso. 

Ma per sua fortuna, la Dottoressa Quiner stava solo ragionando prima di replicare. 

<<Vedo, vedo. Un classico leader di culto che afferma una connessione con Dio, un'ovvia mentalità del Noi contro gli Altri, abuso dei propri membri...>> Mentre recitava, scriveva le stesse cose su un quadernino <<Spada di Salomone, hai detto? L'uso di figure e simboli provenienti da altre religioni è tipico di questi gruppi.>> Chiuse la penna, sfogliò pagina, e con le mani libere riprese a muoverle come prima <<Il tuo è un caso regolare, nulla di speciale. Hai un problema di rabbia da riparare ed una paura del tuo "Angelo" da superare. E io ti aiuterò a farlo.>>

...ah. 

Davvero... incredibile. 

Da quella storia aveva... ricavato tutto ciò. 

Non si aspettava nulla del genere. Non sapeva fosse possibile. 

Adesso era certo di aver fatto la scelta giusta. 

E qualche ora dopo, ebbe modo di ringraziare chi lo meritava. 

<<Gwyana... avevi ragione.>>

Come promesso, quel giorno incontrò l'uomo davanti al tempio buddhista. 

<<Davvero? Sei con la Quiner, ora?>> chiese lui, entusiasta. 

<<Mi incontro con il gruppo due volte a settimana e ci sono quattro altre persone. Avevo dubbi, ma ora mi sento più sicuro.>>

<<Haha! Ne sono felice.>> Gwyana gli diede una pacca sulla spalla <<Fidati, se andrà come è andata a me, tornerai alla normalità in men che si dica.>>

Il ragazzo non sperava altro. Tornò a casa con l'animo leggero. 

<<Jacob, finalmente sei qui.>> disse Arsalan, accogliendolo subito all'entrata <<Ieri non abbiamo avuto il tempo, ma ora ti devo parlare.>>

<<Dopo. Devo fare una doccia.> replicò, lanciando la propria giacca verso il divano. 

L'Angelo la prese al volo. E con uno scatto, prese anche il polso del ragazzo. <<Ti devo parlare ora.>>

Come risposta, lui evocò la Spada Sacra, e la puntò al suo mento. <<Non mi toccare.>>

Ma Arsalan non lasciò. <<Per favore. Ascolta.>>

<<Se è davvero un favore, potrò rifiutarlo.>>

<<Ho già discusso con Risa, Simona, e persino Rhoda riguardo a questo. Solo->>

<<Perfetto! Me lo farò dire da loro!>>

Con una spinta, rimosse il braccio dalla stretta di Arsalan, e gli voltò le spalle. 

<<...capisco.>> concluse lui <<Un Giudice dovrebbe collaborare con il proprio Angelo. Ma se ti rifiuti, non ho motivo di insistere. Tuttavia, questo è un rischio per tutti noi, e non posso lasciarlo incontrollato, perciò... dovrò fare da solo.>>

Ci fu una folata di vento, e quando Jacob si girò...

...Arsalan era scomparso attraverso la porta aperta. 

"Si è... offeso...?"

18 novembre 2020

Quel giorno, Jacob passò per l'ospedale. 

Non lo faceva ogni giorno, ma quando aveva tempo, visitava una stanza, perché... era colpa sua se si trovava lì, del resto. 

O almeno, di Mara che controllava il suo corpo. 

<<Oh, guarda chi si vede!>> salutò Raguel, nel proprio letto. 

<<Sembri di buon umore.>> disse lui, posando un piatto ricoperto in carta stagnola sul comodino accanto. 

<<Mi hanno detto che tra poco potrò andarmene da qui. Non pensavo che una ferita allo stomaco potesse volere tanto tempo per ripararsi, sai.>>

<<Chiami l'essere trapassata da una Spada Sacra "una ferita"...?>>

<<Praticamente un ago per me! E cos'è questo?>> L'Angelo aprì la confezione che le aveva portato. <<Un'omelette? Cosa, hai mangiato i fiori per strada?>>

<<Hey, quella è fatta in casa. Perché... è l'unica cosa che so fare bene.>>

<<Ah, vero, te l'ha insegnata Arsalan. Sai, Risa e Simona passano qui una volta al giorno, ma lui non è mai venuto. Come sta?>>

...a dire il vero, lui non lo aveva visto per cinque giorni. 

O meglio... sapeva che tornasse a dormire la notte, sul divano a volte, sul letto altre, però non lo aveva mai visto. Non importava a che ora lui si svegliasse la mattina - l'Angelo se n'era già andato. 

<<Bene, credo.>> rispose poco convinto. 

Così poco convinto che se ne accorse immediatamente. <<Heh. I vostri problemi non sono miei, e non fingerò lo siano... ma cerca di non essere troppo duro con lui. Essere un Angelo è più difficile di quanto sembri.>>

Sicuro, come no. 

Certo, avevano vissuto migliaia di vite, vedendo miliardi morire, anche per mano loro... ed erano stati creati da un Dio crudele... ma...

...ma...

...ma era tardi. <<Se non ti dispiace, devo andare.>>

<<Divertiti, come io mi divertirò a mangiare la tua ome-frittata!>> esclamò, salutandolo con un esagerato gesto. 

Il Giudice raggiunse l'uscita ed aprì la porta, quando Raguel lo chiamò. <<Jacob?>>

<<Sì?>> chiese lui. 

<<...ti senti in colpa per avermi spedito qui, vero?>>

<<Non dovrei?>>

<<È stato Mara.>> affermò lei seriamente <<Ricorda sempre che non devi assumere tutte le responsabilità e le colpe, okay?>>

<<...lo terrò a mente.>>

Ma Raguel non doveva preoccuparsi. Non sapeva che lui facesse parte di un gruppo di terapia, ovviamente. 

Quello era proprio uno dei due giorni alla settimana in cui doveva incontrarsi con loro, perciò, lasciato l'ospedale, andò subito all'appartamento della Dottoressa Quiner. 

Stavolta, trovò tutti i presenti nel cerchio occupati a ridere. 

<<Oh, Jacob, stavamo aspettando giusto te!>> disse Francis, indicando la sedia vuota. 

Jordan era sempre il meno entusiasta di vederlo, ma sorrise e non si mostrò ostile. <<Ora possiamo cominciare.>>

<<Sono d'accordo.>> disse la Dottoressa, prendendo il quaderno <<Cominciamo dal nuovo arrivato. Come va, Jacob?>>

<<Tutto a posto, solita routine.>>

<<Hmm, davvero? Eppure sembri diverso.>>

...lo sembrava? Lui era stato completamente onesto, ma non era uno psicologo, né particolarmente bravo a riconoscere i propri sentimenti. 

<<Non è che...>> continuò la Quiner <<Hai avuto un incontro con quel tuo... com'è che si chiama...?>>

<<Arsalene?>>

<<Arsalene... potresti ripeterlo?>>

<<...Arsalene.>>

<<Hm, hm.>> mormorò lei, scrivendo qualcosa <<Il modo in cui pronunci le parole dice molto su di te, sai. Tu... non ti sei allontanato da lui, ti sei avvicinato.>>

Avvicinato? Quando se n'è letteralmente andato? Ridicolo da credersi. 

...o lo sarebbe stato, se...

<<Una mia amica mi ha detto di non essere troppo duro con lui. Pensa che->>

<<Una tua amica?>> La Dottoressa scosse la testa in disappunto. Gli altri sembrarono ugualmente negativi. <<Se ti dice cose del genere, puoi davvero chiamarla un'amica?>>

<<Hey, era solo un suggerimento. Lei non sa->>

<<Hai altri amici come questa?>>

"Altri amici...?"

<<In che senso, come questa?>>

<<Intendo altre persone vicine a questo... Arsalene, o persone che conoscevi mentre eri nel suo culto.>>

Perché era un problema se li conosceva allo stesso tempo? Qualcosa riguardo ai ricordi che evocavano o all'abbandonare la vecchia vita, forse... ma non era un po' eccessivo? 

<<Tre o quattro...?>>

<<Questa è la prima prescrizione che ho da darti: smetti di interagire con queste persone per qualche settimana.>>

Jacob scattò in piedi, rovesciando la sedia. <<Cosa?!>>

<<Woah. Calma, calma.>> disse Jordan, posandogli una mano su braccio <<È solo un po' di tempo, e per il tuo bene.>>

...ah, un'altra reazione esagerata. 

Il Giudice si rimise a posto per subito scusarsi. 

<<...farò come dice lei.>> Il suo volto era rosso e sudato, per la vergogna o per la rabbia appena provata. <<Solo... un secondo, vado a sciacquarmi la faccia.>>

<<Non preoccuparti. Penultima porta a destra.>> disse la Quiner. 

Il ragazzo attraversò il corridoio. Penultima porta a destra, era un bagno ricoperto in mattonelle bianche. 

Per quanto il gabinetto d'oro fosse invitante, si limitò a buttarsi dell'acqua fredda sul viso. 

A giudicare dal riflesso nello specchio, i suoi occhi erano totalmente normali. Nessun brillio dorato. Da quando aveva cominciato a meditare, Mara non si era fatto vedere. 

Un problema risolto. Ora ne aveva un altro. Se stesso. 

"Ed è proprio per quello che sono qui..." pensò, uscendo dal bagno. 

Stava per lasciarlo, quando sul ciglio della porta si trovò faccia a faccia con...

...l'uomo che aveva intravisto l'ultima volta. 

Proprio come sembrava, aveva una barba incolta scura, vestiti sporchi, e un aspetto stanco. 

<<Uh... posso aiutarla?>> chiese Jacob. Il gruppo stava parlando nella stanza vicino l'ingresso, quindi probabilmente non si accorsero di lui. 

<<Devi andartene.>> grugnì l'uomo <<Se insisti a rimanere, non avrai molto da vivere.>>

<<...lei è il marito della Dottoressa?>>

Il tipo sorrise leggermente. <<Marito, sì. Qualcosa del genere.>> Poi si spostò, per lasciarlo passare. 

Camminandogli accanto, Jacob notò un respiro molto, molto pesante. 

Come se quell'uomo stesse trepidando da una incredibile voglia. 

...si augurava non fosse voglia di combattere, per il suo bene. 

Tornò al cerchio con rapidità. 

19 novembre 2020

Da quasi una settimana, la caccia di Arsalan era cessata raramente. 

Tornava a dormire a casa per qualche ora, e poi riprendeva a cercare. 

Perché se Jacob non voleva essere coinvolto, coinvolto non sarebbe stato. 

Almeno per il momento. 

...la verità si stava avvicinando. 

L'Angelo si trovava ora in un appartamento in affitto, dove non molto tempo prima, erano accaduti numerosi omicidi. 

Qualcuno aveva catturato ed ucciso più persone, inclusa l'intera famiglia che abitava lì. 

La famiglia Abel. 

Il solo sentire quel nome in quell'epoca gli dava la nausea. 

Era un'incredibile sfortuna che dovesse farlo, grande quanto la fortuna che... quell'uomo avesse incontrato Diana Abel. 

Almeno, supponeva fosse lei. La maledizione non poteva che essere passata all'unica figlia degli Abel. 

Essere l'Anticristo era una disgrazia. Poi "lui" era passato per la sua strada. 

Per chiunque, un incontro con un uomo che uccide Angeli Custodi sarebbe tragico, ma per lei fu una fortuna. Poiché il mondo, chiaramente, non era finito, Arsalan doveva credere che il suo Diavolo Accusatore fosse stato qualcuno senza interesse nell'Apocalisse. 

...possibile che lo Sterminatore di Angeli lo sapesse...? 

In ogni caso, era stato lì. Un altro punto sulla sua mappa. 

Una mappa poco utile, ma più utile di qualunque altra cosa. 

"Il fatto che stiamo investigando su di lui... dovrà dargli fastidio. Se è in giro, si farà vedere."

Fuori dalla finestra, cominciò a piovere. 

"...spero solo non decida di attaccare Jacob..."

Ma Jacob aveva ben altro a cui pensare, in quel momento. 

Stava uscendo dal tempio, dopo il corso di meditazione, e non aveva niente con cui coprirsi da quel temporale mentre tornava a casa. 

Come se non bastasse, il suo cellulare non voleva smettere di vibrare. 

Lo tirò fuori dalla tasca. 

Rhoda lo stava chiamando. 

Ricordò le parole della Dottoressa. 

"Intendo altre persone vicine a questo... Arsalene, o persone che conoscevi mentre eri nel suo culto."

Con un sospiro, rifiutò la chiamata e cancellò il contatto. Più tardi avrebbe fatto lo stesso con tutti gli altri. 

Stava per andarsene, quando notò qualcosa di strano. Si rivolse ad un monaco che stava uscendo dietro di lui. 

<<Scusate... avete presente Gwyana? Mi aveva dato appuntamento qui, ma non lo vedo, e sì, capisco la pioggia...>>

<<Hai detto... Gwyana?>> chiese il monaco. 

Con Gwyana avrebbe potuto parlare, lui non aveva legami alcuni con Arsalan. Quindi dov'era? 

<<Glielo avete dato voi il nome, no?>> Mentre parlava, vedeva l'espressione del monaco farsi sempre più preoccupata <<È un membro qui... giovane, rasato, asiatico...>>

<<Il fratello Gwyana... non è più con noi.>> rispose. 

<<Oh, ha lasciato il tempio?>>

<<...si è tolto la vita.>>

La pioggia si fece più forte. 

<<Si è... suicidato? Cosa- quando? Perché?!>>

<<Forse sarebbe meglio se->>

Ma lui lo prese per la veste e lo scosse violentemente, nemmeno pensando a cosa stesse facendo. <<Mi risponda, io- io non sapevo niente, gli stavo parlando come niente qualche giorno fa, e->>

<<Il fratello Gwyana non poteva vivere senza l'amore del monaco Devadatta, e... si è sparato due mesi fa.>>

Due... mesi...? 

No... no, lui... lui lo aveva incontrato... proprio... proprio lì...

Gwyana... Gwyana era vivo... era vivo... era...

20 novembre 2020

<<Un frutto della tua immaginazione.>> disse la Dottoressa Quiner. 

Gli altri presenti nel cerchio bisbigliarono qualcosa tra sé. Jacob scattò in piedi. 

<<Si deve ricordare, Dottoressa! È stato suo paziente- è stato lui a suggerirmi di venire qui!>>

<<I ricordi possono essere ingannevoli. È normale per i sopravvissuti di un culto soffrire questi effetti.>>

<<Basta con questi culti, la mia memoria è a posto, cazzo, forse la sua->>

<<Di che etnia hai detto che era, questo Gwyana?>>

Ci pensò qualche secondo. Stranamente. <<Asiatico.>>

<<Asiatico è un po' vago. Sud Asia o Est Asia?>>

<<Non... non sono sicuro.>>

<<Ah! Capisco. Quindi non potresti nemmeno dirmi se Cinese, Coreano, Vietnamita, Indiano...>>

<<No... non...>>

<<Puoi dirmi il colore dei suoi occhi, o il tipo di voce che aveva?>>

Il colore dei suoi occhi...

La sua voce...

Non... non ci aveva mai fatto caso...

Non aveva mai... ben percepito... la sua persona...

Come se fosse... sfocato. 

<<...non riesco.>>

La Quiner scrisse qualcosa sul blocco note, per poi chiudere la penna e riprendere a gesticolare come sempre, forse più del solito. <<Questo Gwyana, hai detto, ti ha dato un mio biglietto da visita. Io, in effetti, lascio i miei biglietti da visita a tutti i clienti con cui ho finito. Puoi farmelo vedere?>>

<<Sì! Come no!>> esclamò lui, rovistando tra le tasche <<L'ho sempre tenuto qui, non l'ho mai...>>

E tirò fuori un pezzo di carta. 

Nient'altro che un pezzo di carta bianco con sopra scritto il numero della Dottoressa nella calligrafia di Jacob stesso. 

<<...tolto...?>>

<<Davvero?>> chiese lei <<E perché mai l'avresti sempre tenuto con te?>>

<<P-perché...>> mormorò <<Perché... non riuscivo mai... a ricordare l'indirizzo...>>

<<Hm.>>

Tutti rimasero in silenzio, dandogli il tempo di processare. 

La mente di Jacob Aiagon era così distrutta che i ricordi lo ingannavano. 

Se nemmeno la sua memoria era affidabile, i suoi stessi sensi, chi o cosa poteva mai esserlo? 

Niente. 

Dunque, l'unica risposta possibile, era che lei gli stesse mentendo. 

Sì. 

Quella Dottoressa. 

Doveva essere un Demone. 

Un Demone. 

Un Demone. 

E ogni Demone. 

Doveva morire. 

Le salto addosso, e strinse le sue mani intorno al suo collo. 

<<Muori.>>

Le sue parole soprassedettero ogni altro suono. 

<<Muori. Muori. Muori. Muori muori muori muori muori muori muori muori-!>>

Non notò che qualcuno avesse sollevato una sedia, finché non lo colpì sul collo. 

Senti un rumore come ossa rotte, e

20 novembre 2020

<<Jacob? Sei tu?>> chiese la voce al citofono. 

Il ragazzo sobbalzò con un grido. 

<<Dove... cosa...>>

Si trovava... di fronte all'entrata del condominio, dove lavorava la Dottoressa. 

<<Pronto?>> ripeté la voce. 

<<S... sì.>>

Il portone si aprì. 

Ma lui non sapeva nemmeno cosa fosse successo. 

Si guardò nel vetro della porta. I suoi occhi erano del colore normale. 

Ricordava di aver agito come se sotto l'influenza di Mara. Ma non era ancora nemmeno entrato. Il giorno era lo stesso, l'orario quello corretto. 

Ciò che era nella sua memoria non era mai successo, non sarebbe mai potuto succedere. 

Oltre il citofono, la Quiner gli aveva appena parlato. Era viva e vegeta. 

Ma quella confusione non poteva che essere opera di un solo Demone... Mara, ancora nella sua anima. 

E per reprimere Mara, doveva subito andare... andare...

"...dov'è che andavo per controllare Mara...?"

Ah! Giusto! 

Il gruppo di terapia, ed era proprio lì che era! 

Senza indugio, corse su per le scale. 

Stavolta, trovò tutti i presenti nel cerchio occupati a ridere. 

<<Oh, Jacob, stavamo aspettando giusto te!>> disse Francis, indicando la sedia vuota. 

Jordan era sempre il meno entusiasta di vederlo, ma sorrise e non si mostrò ostile. <<Ora possiamo cominciare.>>

<<Sono d'accordo.>> disse la Dottoressa, prendendo il quaderno <<Oggi ho un nuovo metodo terapeutico da proporvi.>>

La Quiner si alzò, prese la propria sedia, e la posizionò al centro della stanza, per poi far spostare gli altri e chiudere il cerchio. 

<<Ho bisogno di un volontario.>> annunciò. 

Con un po' di riluttanza, Siobhán alzò la mano, e ricevuto un segno si andò a sedere al centro. 

<<Questa si chiama terapia critica.>> spiegò la Quiner <<La persona al centro deve parlare il più a fondo possibile di sé, specificatamente della propria vita nel culto ma anche tutto il resto. Gli altri devono criticare il più aspramente possibile quella persona.>>

<<Criticare...?>> chiese la donna di fronte a lei. 

<<Insultare, attaccare, comunque lo vogliate dire. Dovete informarla di tutti i suoi errori e difetti, tutto il ribrezzo e la rabbia che provate, e farlo in modo che sembri reale. Ci sono solo tre regole: non trattenete nulla, non usate violenza fisica, e ricordate: è solo un gioco.>>

<<Hey! Un momento!>> disse Jacob <<Come ci aiuterà, questo?>>

<<Ottima domanda! Vedi, la parte più difficile del lasciare un culto è abbandonare la mentalità imposta da esso. Una critica così dura è il modo migliore per distruggerla, e rendervi più abituati alle critiche future.>>

<<...ha... senso, credo...>>

Del resto, era lei la psicologa... giusto...? 

<<Uh...>> cominciò a dire Siobhán, guardando la Dottoressa ora in piedi fuori dal cerchio. 

<<Qualcosa che non ci hai mai detto.>>

<<Okay... io sono... lo sapete già chi sono. E sapete che Divinitas Mentis aveva come obiettivo un suicidio di massa. Ma... una cosa, non l'ho detta a nessuno, è che...>> Esitò. Lo sguardo della Quiner sembrò incoraggiarla. <<...ho invitato... molte mie amiche. E alcuni parenti. Al gruppo. E... li ho convinti a fare la stessa cosa che facevo io, perché... pensavo, che se l'avessero fatto anche loro... non sarei più stata io quella... strana. P-poi... è arrivato il giorno del "rituale", e... tutti i membri che erano riusciti ad odiare i propri corpi... li hanno abbandonati, dandosi... fuoco. E io... io ero pronta esattamente quanto loro, sarei dovuta morire insieme, ma... ma ho avuto paura e ho detto di non essere pronta... mentre tutte le reclute che avevo portato io... loro hanno avuto il coraggio, e io non le ho fermate. E adesso... ancora le loro famiglie non sanno... cosa gli sia successo...>>

Non era chiaro se avesse finito di parlare, ma all'improvviso Ivo gridò: <<Seriamente?! E osi definirti una vittima?!>>

<<I-Ivo...?>>

L'uomo sembrava disgustato da lei, decisamente non per "gioco". <<Vittima del cazzo, fai bruciare le tue amiche e mantieni pure la sfrontatezza di mostrarti qui?>>

<<Non... non sono stata io...!>>

<<Ma è come se lo fossi stata.>> disse Francis <<Se non avessi deciso di trascinare quella gente giù con te, sarebbero ancora vive!>>

<<Aspettate, i-io...>>

I due uomini si sarebbero alzati se la Dottoressa non avesse fatto segno di rimanere seduti. Ma continuarono ad urlare tanto che erano praticamente nelle sue orecchie. 

<<Ti aspetti davvero la nostra simpatia?!>>

<<Il tuo corpo avresti fatto meglio ad odiarlo davvero!>>

<<E a bruciarti, così avresti avuto quel che ti meriti!>>

Siobhán si fece sempre più silenziosa, coprendosi la testa con le mani, ed emettendo solo flebili respiri. 

Intanto, Jacob e Jordan non avevano parlato, decisamente ansiosi riguardo a quella terapia critica. 

Finalmente, la Quiner batté le mani, ed annunciò la fine dell'esercizio. <<Va bene, ragazzi! Siobhán, puoi tornare a sederti. Non preoccuparti, avrai l'occasione per il riscatto. Ora... a chi tocca?>>

Non appena la donna si fu alzata, gli insulti, e tutto il resto, cessarono immediatamente. 

Poi la Dottoressa fece cenno a Jordan. 

Lentamente, il ragazzo si sedette al centro. 

<<...c'è una cosa... simile a quella di Siobhán, che è accaduta a me...>> Si era già piazzato in una posizione difensiva, con la testa volta verso il basso tenuta dalle braccia. <<Prima che il nostro culto crollasse... abbiamo organizzato una festa. Un party per divertirci, ospitato da una di nome Inlus, che... che era un po' fuori. Aveva trovato questo manicomio abbandonato, per esempio, e c'erano voci che il motivo per cui l'aveva fatto era che... aveva un prigioniero, lì.>>

"Un prigioniero...?"

<<Una notte, così, mentre Inlus si intratteneva con chissà chi, ho deciso di andare ad esplorare l'edificio. Nessuno poteva salire ai piani superiori e io ho fatto proprio questo. Ho... girato, a caso, finché non ho sentito un suono. Dentro una stanza... ho aperto la porta con attenzione, che poi era un po' rotta, e dentro... c'era qualcuno.>>

"Qualcuno...?!"

<<Non sono riuscito a vederlo in faccia, ma era seduto sul pavimento, ed aveva un oggetto fluorescente sopra il corpo... come una... spada. E c'erano... ciotole di cibo. Inlus aveva davvero un prigioniero. Così... io...>>

<<Andiamo. Che cos'hai fatto?>> chiese la Dottoressa. 

<<...gli ho fatto una foto e me ne sono andato. Non l'ho detto a nessuno, pensavo solo fosse divertente. Non mi importava di chiunque fosse quel tipo. Se Inlus davvero lo trattava come un cane...>> Jordan sorrise <<Gli sarà dovuto piacere.>>

Ma Jacob, per qualche motivo, non sembrò trovarlo divertente. <<...bastardo.>>

<<Come?>>

<<Disgustoso bastardo che non sei altro!>> gridò il ragazzo, più furioso di chiunque altro fosse stato in quella stanza prima <<Quel fottuto manicomio dovevano farvelo crollare addosso e lasciarvi lì a chiamare aiuto come gli insetti che siete!>>

<<H-hey, aspetta->>

<<Ahhh, ma lo vedrai, eccome se lo vedrai. Con quegli stecchini che ti ritrovi... non è tanto prima che qualcuno più forte di te prenda un oggetto di metallo... e ti apra la testa in due.>>

<<Forse sarò proprio io!>> disse Ivo <<Davvero, lo hai lasciato lì a morire?! Mi fai schifo.>>

<<Già, che pezzo di merda. Non che pensavamo ci fosse speranza per te.>> disse Siobhán, chiaramente curata della propria terapia critica precedente. 

Jordan però non aveva intenzione di lasciarsi attaccare. <<Un attimo! Cosa->>

Come risposta, Jacob gli saltò addosso e lo gettò verso il basso, obbligandolo con la forza a risedersi. <<Statti fermo, pensi che abbiamo finito con te->>

E la Quiner li interruppe di nuovo con un battito di mani. <<Ottimo lavoro! Penso proprio che potremo espandere la durata della terapia già dalla prossima volta! Chi va, ora?>>

Un altro silenzio. 

Non importava con quasta animosità stessero discutendo prima, quando finiva, finiva tutto. 

<<Jacob?>> propose la Quiner. 

<<...io...? Non so se...?>>

<<Ormai è tuo dovere.>>

"...sì, suppongo che lo sia."

Così anche lui si sedette al centro. 

Inizialmente, non sapeva bene cosa dire. Ci mise un po' a cercare una "confessione" che non fosse né troppo né troppo poco. 

<<...non l'ho mai menzionato, ma... le battaglie che Arsalene mi faceva combattere... erano battaglie serie. Sono rimasto ferito ogni volta. Ma... questo solo perché io sono sopravvissuto. Ed in una battaglia all'ultimo sangue, ciò significa che il mio nemico è morto. Tutti i miei nemici sono morti. Ho ucciso cinque persone... di cui una bambina.>>

Limitò a questo la sua storia. 

<<...t-tu... sei... un mostro.>> disse Jordan. 

<<Sì.>> rispose. 

<<E vieni a dirci a noi che siamo bastardi? Che diritto hai, tu, che dovresti stare sulla sedia elettrica?!>>

<<Oddio, che...>> mormorò Francis. 

<<E non ti penti di nulla?! Lo dici così?! Cosa sei, un animale?!>> esclamò Siobhán. 

<<Un criminale come te dovrebbe solo morire!>> disse Ivo. 

Jacob però non aveva intenzione di lasciarsi attaccare. <<Un attimo! Cosa->>

Come risposta, Jordan gli diede uno schiaffo che quasi lo gettò sul pavimento. 

<<Dottoressa, questo è permesso, vero?>>

La Quiner annuì. <<Non c'è regola contro la violenza fisica, ma ce n'è una contro il trattenersi.>>

<<Con questo assassino di merda? Non lo farò.>> Lo colpì di nuovo. 

Gli occhi di Jacob stavano cominciando a lacrimare, così come il suo naso stava cominciando a perdere sangue. 

Ma Jordan non si stava fermando, e continuava a colpirlo. <<Guardati! Angelo Custode, difensore della fede, ma chi ti credi di essere?!>> Lo colpì. <<Tu sei un fallimento. Ti sei fidato di quell'Angelo perché altrimenti saresti morto come un fallimento. Haha!>> Lo colpì. <<Piangendo nel buio, pregando per una seconda opportunità che non sarebbe mai venuta!>> Lo colpì. <<Ma nessun Angelo può riparare una persona come te. Incapace di vivere senza fare del male agli altri.>> Lo colpì. <<Perché vuoi essere felice senza lavorare per ciò. E gli altri devono soffrire al posto tuo.>> Lo colpì. <<Quindi sii felice, hai cambiato il destino della tua morte! Non sarai ignorato da tutti! Saranno tutti occupati a festeggiare, perché il più grande peso è stato tolto dalla loro schiena!>> Lo colpì ancora e ancora e ancora. 

E il Giudice... a malapena ci vedeva. 

Non riusciva a reggersi in piedi e il suo cuore stava per esplodere. 

Ma tutto quello che aveva sentito era vero. Tutti i problemi di cui avevano parlato erano veri. Doveva risolverli. 

Anche se ciò significava sopportare quel metodo di terapia. 

Così, anche quando Jordan lo stava tenendo per il colletto, e l'espressione sul suo viso era diventata incomprensibile per via dei lividi inflitti, delle lacrime scorrenti, e del sangue... non parlò. 

Riuscì solo a dire: <<Mi... mi dispiace.>>

Poi il ragazzo lo lasciò andare, e lui cadde sulla sedia. 

La Quiner aveva osservato tutto, prendendo appunti. Stava probabilmente per annunciare chi sarebbe stato il prossimo a ricevere le "critiche", quando notò l'orario sulla parate. <<Oh, non me n'ero accorta... ma è ora di andare. Scusate, ragazzi, potremo riprendere la prossima volta.>>

I membri del gruppo se ne andarono come se nulla fosse mentre la Dottoressa li salutava dalla porta. <<Ciao! A dopodomani!>>

-questo fece interrompere il cammino di Jacob. <<Dopodomani? Non è mercoledì, il prossimo incontro?>>

<<Hm? Dimentichi l'incontro della domenica!>> chiese lei <<Abbiamo modificato il numero di giorni da due a tre, ricordi?>>

<<N... no.>>

<<Io sì.>> disse Siobhán vicino all'ascensore. 

<<Pure io, l'abbiamo deciso l'altra volta.>> aggiunse Ivo. 

Jacob continuava a non ricordare, ma ormai aveva ammesso che la sua memoria era un disastro. <<...se lo dite voi.>>

Aveva immaginato Gwyana. Ne aveva parlato quel giorno stesso con la Dottoressa. Se aveva fatto ciò, era possibile qualunque cosa. 

21 novembre 2020

Adesso, Arsalan si trovava in un luogo ancora più specifico. Il bosco dove era avvenuto l'unico avvistamento del suo avversario. 

Quando Inlus, o la donna che sarebbe poi diventata Inlus, aveva scattato una foto di quella figura misteriosa... ed era poi tornata online con un atteggiamento del tutto differente. 

Era chiaro cosa le fosse successo. Quell'uomo aveva ucciso il suo Angelo Custode, ed iniziato la collaborazione con il suo Diavolo Accusatore. 

Il perché ed il come gli erano ancora oscuri. Se importavano, importavano poco. Doveva solo capire dove si trovasse quell'uomo. Aveva seguito quello che pensava sarebbe potuto essere il suo percorso, e ora cercava possibili tracce del suo passaggio. 

"Lo troverò."

Questo si ripeteva. 

Ancora e ancora. 

"Lo troverò. Lo troverò. Non posso arrendermi. Io sono l'Angelo Custode. Lo troverò. Lo troverò. Non posso arrendermi. Io non fallirò. Io sono il suo Angelo Custode."

Perché c'era un motivo se si era incarnato lì. 

E non era certamente quello di rovinare la vita di Jacob Aiagon. 

...per questo non poteva, non doveva fallire. 

Almeno per una volta, avrebbe fatto qualcosa per il suo bene.